Osiride Brovedani "el Signor Fissan"

-Salve Lia, prima di parlare di Osiride Brovedani ci racconta qualcosa di lei?

Buongiorno e grazie per questo spazio. Io sono la curatrice del museo ”Casa di Osiride Brovedani”, e ho l’onore di raccontare la storia di questo imprenditore ai visitatori che vengono al museo.

-Chi era Osiride Brovedani?

Il nome può non dire molto, ma quando aggiungo “el signor Fissan”, allora il mio interlocutore si accende, e sono certa che sarà così anche per i suoi lettori. Osiride è stato l’imprenditore che nel 1930 impiantò la fabbrica della Fissan a Trieste e sì, con Fissan intendo proprio la pomata per il culetto dei bambini. La ditta era tedesca, e lui acquisì i diritti per la produzione e la commercializzazione del prodotto in Italia. Essendo ebreo per parte di madre, subì la tremenda esperienza della deportazione nei campi di concentramento nazisti ma, per fortuna, fece ritorno sano e salvo. Provato nell'animo e nel fisico, certo, ma con la voglia di riprendere la sua vita nelle sue mani, tornare sulle sue amate montagne, dedicarsi alle sue passioni, alla sua famiglia, che non si limitava alla moglie Fernanda e ai nipoti, ma comprendeva tutte le persone che lavoravano alla Fissan.

-Già negli anni 30 Brovedani aveva le idee chiare su quella che sarebbe stata la sua vita imprenditoriale; ci racconta di quando se ne andò in giro per l'Italia in motoretta?

Già, quella è proprio una storia che la dice lunga sulla tempra del personaggio. Ed è una storia che raccontiamo soprattutto ai ragazzi. Perché sembra che oggi, grazie ai social, basti avere una buona idea o una bella figura per diventare subito ricchi e famosi, rimuovendo la consapevolezza che ogni successo ha alle spalle sì tanta fortuna, ma anche tante false partenze, errori, notti in bianco, impegno e fatica. Insomma, Brovedani aveva questo prodotto da far conoscere, non c’era internet, non c’era la televisione, l’Italia era appena uscita da una guerra mondiale e già si stava invischiando in un’altra. E allora come fare? Inforcò la sua motocicletta provvista di sidecar, vi caricò degli scatoloni con i campioni e partì alla volta di tutte le farmacie e gli ospedali di Italia. Arrivò fino a Palermo! E questo suo entusiasmo e l’impegno profuso erano l’ingrediente segreto della Pasta di Fissan.

-Quando ci siamo incontrati la prima volta mi ha raccontato della scelta di vita fatta dopo l'esperienza drammatica del campo di concentramento. È stata una scelta che ha cambiato la vita di molte persone vero?

Di svariate centinaia di persone! Lei si riferisce a ciò che decise di fare con il suo patrimonio: volle che la sua eredità confluisse in una fondazione, che doveva gestire un convitto gratuito per ragazzi orfani di uno o due genitori, e ciò venne realizzato a Gradisca d’Isonzo a partire dal 1980, grazie alle volontà testamentarie della signora Fernanda Brovedani e all'impegno del dottor Raffaele De Riù, da lei nominato quale Presidente a vita della Fondazione Osiride Brovedani, che oggi è una onlus. La struttura in cui si realizzò questo grande sogno è ancora attiva, anche se dal 2003, invece dei ragazzi, per questioni legislative e sociali, ospita persone autosufficienti dai 66 anni in su, e mi preme sottolineare che la fa a titolo completamente gratuito.

-Mi raccontava dell'incontro con Raffaele De Riù; fu una vera svolta per la vita di entrambi?

Si conobbero nel 1960, quando Osiride aveva quasi settant'anni, credo che ormai la sua vita avesse già affrontato diverse svolte, ma sicuramente per Raffaele De Riù, poco più che trentenne, fu un incontro che cambiò la vita. Non subito: per alcuni anni si limitò ad essere il suo consulente finanziario; nel 1970, alla morte di Brovedani, si ritrovò la responsabilità, come già detto, di realizzare il sogno del suo mentore, io lo considero così. Ma non è tutto: subito dopo il funerale venne convocato a Francoforte dai dirigenti della casa madre della Fissan che lo investirono del ruolo di amministratore della sede italiana dietro suggerimento di Brovedani, suggerimento che era stato dato molti anni prima della sua dipartita. Aveva già capito che il dottor De Riù sarebbe stato un eccellente successore.

-La Fondazione ed il Museo: la prima svolge nobili attività nel sociale ed in aiuto delle persone in difficoltà, il secondo racconta la storia di chi volle tutto questo ed il risultato ottenuto. Manca qualcosa per completare queste 2 realtà?

Beh, la Fondazione si occupa di gestire una Casa Albergo che ospita gratuitamente 60 persone, oltre al piccolo museo, che è appunto anch’esso una creatura della Fondazione: direi che già così sarebbe sufficiente, ma possiamo anche aggiungere tutta una serie di erogazioni liberali che ogni anno vengono attuate a favore di scuole, ospedali, associazioni.

-Le confesso che ho avuto la sensazione che le vostre due realtà fossero un incastro perfetto di decisioni ed idee che dovevano seguire uno stile di vita voluto da Brovedani, sbaglio?

Assolutamente no, anzi, direi che ha colto nel segno. Tutti noi dipendenti della Fondazione sappiamo che stiamo lavorando per Osiride dietro mandato di De Riù, che ci ha lasciato a fine 2019 ma la cui presenza ancora è viva nelle lezioni che ci ha dato e nello stile di lavoro che ci ha trasmesso. Non ci consideriamo solo delle persone che alla mattina vanno in ufficio, ma abbiamo l’opportunità ogni giorno di aiutare gli altri e fare del bene grazie al nostro lavoro. Che è quello che voleva fare Brovedani con la Fissan: arricchire non tanto se stesso quanto l’ambiente che lo circondava, rendendolo più ricco di prospettive e di opportunità, migliorando la qualità della vita delle persone che lo circondavano. Molte famiglie del quartiere di San Giacomo partecipavano da casa propria, inserendo i tubetti di pasta nelle scatole, con tanto di bugiardino, e ricevendo una lira a confezione. Un’ottima possibilità di arrotondare il salario.

-Chi viene a visitare il vostro museo?

Triestini curiosi di conoscere un pezzo della storia di questa meravigliosa città, turisti e poi i ragazzi, che sono i nostri “utenti preferiti”: è per loro che il Presidente (è così che chiamiamo il dottor de Riù) ha voluto erigere il museo, cioè perché possano scoprire quanto lontano si può andare credendo in se stessi e soprattutto nella vita, andando avanti con impegno, fiducia e volontà di riuscire.

-Cosa avete in cantiere in questo momento?

Proprio per i ragazzi abbiamo deciso di organizzare un contest creativo: quelli tra i 13 e i 18 anni che vengono al museo hanno la possibilità di vincere un buono da spendere in libreria; si tratta di presentare un’opera realizzata con qualsiasi mezzo espressivo dando ascolto alle emozioni provate scoprendo la vita di Brovedani così come viene narrata al museo.

-Cosa pensa di Tour per Trieste e che tipo di collaborazione vi piacerebbe instaurare?

È un’iniziativa come quelle che piacciono a noi, che piacerebbero a Brovedani, ovvero fatta col cuore, per mostrare ai turisti – e ai triestini stessi, perché no? – quanto può dare questa città. Quanta ricchezza tra le sue strade, quanta storia negli edifici, quante immense personalità l’hanno abitata, dal Barone Revoltella a Umberto Saba, Joyce, Stock, per citarne giusto un paio. Ci piacerebbe poter restare come siamo, umili e non esibizionisti, inseriti tra le pagine del vostro sito, per venire scoperti dalle menti curiose sempre affamate di conoscenza.